di Francesca Carla Neri
Siamo di fronte ad un libretto che ci illumina circa uno dei tanti aspetti della personalità di Michele Barillaro: di un Michele Barillaro giovane, che ha prodotto i testi inclusi nella silloge tra i diciannove e i ventitré anni di età.
Della sua successiva produzione poetica, consistente in migliaia di versi, non abbiamo purtroppo conoscenza: ma possiamo ragionevolmente ipotizzare che il suo impegno compositivo non sia stato né episodico né secondario rispetto ai suoi interessi personali e professionali. Proprio la circostanza che soltanto queste composizioni affettuosamente raccolte e pubblicate dalla zia Emma in occasione della laurea del nipote ci diano la possibilità di soffermarci sul coté poetico del Nostro aumenta il loro valore in termini di lascito intellettuale e creativo. Ancorché composte in età giovanile,esse si configurano come una meditata e consapevole poiesis coagulatasi intorno ad avvertite istanze esistenziali riguardanti l’autocoscienza dell’autore, il rapporto con un Dio trascendente che è Verità e Vita, le relazioni interpersonali e l’intento di leggere la realtà cogliendone le aporie e concependo speranze forse destinate a rimanere disattese. Nella Nota anteposta alla silloge è lo stesso Autore ad esplicitare la sua idea di poesia, intesa secondo due fondamentali determinazioni. In primo luogo, egli concepisce l’attività poetica come la possibilità di «esternare quanto di più profondo vive in noi», grazie alla sua funzione liberatoria e alla sua capacità di far vagare i pensieri di chi scrive, i quali si trasformano in sogni. Ma per lui la scrittura costituisce, d’altro canto, un vero e proprio antidoto contro il rischio di una deriva solipsistica dell’io poetante, giacché prevede lo sperato coinvolgimento di «altri compagni di viaggio» che vogliano condividere le «immagini fantastiche» per poi riflettere «con la stessa profondità».
E’ evidente che per Barillaro ogni esperienza di composizione poetica, pur risultando collegata a quel sogno che è parola-chiave di molti dei testi accolti nella silloge, implichi l’atto della riflessione, anzi fantasia e riflessione finiscono col costituire due facce della stessa medaglia in riferimento a quella ricerca del senso che sempre ispira la poesia di alto spessore. Sicché non pare inopportuno soffermarsi brevemente, prima che sui motivi tematici e sugli aspetti formali della poesia del Nostro, sulla sua poetica, ben segnalata da alcuni testi chiarificatori. Tra questi ultimi, Ancora con loro, pur inscrivendosi nel ben noto motivo del Non omnis moriar di oraziana memoria, lo lega, in maniera assolutamente originale rispetto al modello, ad un richiamo squisitamente cristiano: le «parole» accompagneranno sempre il poeta, «anche quando Chi dispone vorrà ch’io lasci loro./Resteranno, e di me avranno sapore.» Si notino, per inciso, tanto la perifrasi «Chi Dispone» (che ricorre più volte nella raccolta acquisendo quasi il carattere di signature), quanto la lapidarietà di sapore classico del verso conclusivo. Del lavoro poetico il giovane autore sperimenta il travaglio creativo, apparentandolo ad una sorta di itinerarium che per giungere al «paradiso della poesia» deve per forza passare attraverso il dolore e le lacrime, come attesta Sofferenza e poesia:« Senza dolore non si compone, senza lacrime / non si perdona al cuore la potenza di sciogliere/ in parole quello strano senso di nostalgia che ti /abbraccia e ti segue sempre nella verità.» Tutto il volume testimonia questa esigenza di verità richiesta alla poesia, che il Nostro vuole «poesia sincera, canto vero dell’anima mia» (Più delle tue parole). Del resto occorre sottolineare che tutte le composizioni della silloge, ognuna per la sua parte, costituiscono il portato di una ragguardevole pensosità e di una singolare attitudine all’approfondimento dei motivi tematici. Si pensi a quello fondamentale del rapporto con Dio, già segnalato fin dal testo di apertura (Preghiera di un uomo che crede), ritmato dal richiamo anaforico e incentrato sul bisogno personale della vicinanza, del conforto e della carezza di Dio, ma concluso altresì dall’invocazione a favore di tutti gli uomini «stravolti da solite trame, assediati da perenni/ disagi, turbati da calde lacrime» che il Maestro vorrà prendere ancora a sé. A questo Dio trascendente l’autore si affida fiduciosamente, nella piena consapevolezza che l’agire umano è sempre periclitante e che solo da Lui deriva la luce per chi è irretito nel dubbio. E’ appena il caso di ricordare l’intrinseca severità che caratterizza la poesia di tematica religiosa: ebbene, il giovane Barillaro la affronta con la serietà imposta dal tema, interrogandosi sui grandi misteri della vita e della morte, del destino ultimo dell’uomo, in versi in cui talora si avvertono robusti e pertinenti echi scritturali. Come tutte le concezioni religiose profonde, anche la sua non conduce ad esiti banalmente consolatori, ma conosce anche momenti di sconforto umanamente comprensibili, durante i quali tuttavia egli è certo di potersi fidare di un Dio buono e giusto: ossia di Colui che appunto, dantescamente “Dispone”. A Lui egli si rivolge con uno slancio appassionato di fede, affine in qualche misura a quello del celebre gesuita poeta Gerard Manley Hopkins quando scriveva« Ho desiderato andare/ dove le primavere non appassiscono”. Un Dio che risarcisce delle delusioni connesse alla nostra esistenza di uomini e dà senso alla vita : «E quando avremo ancora la forza di gridare al vento/ le emozioni di ogni giorno e le passioni di questo destino,/alzeremo il capo sicuri di avere accanto Dio/ e piangendo capiremo di aver vissuto davvero» (Le passioni non muoiono mai).
Peraltro, tutti i motivi tematici sviluppati nella raccolta sono contrassegnati da un’intrinseca complessità e da una forte riflessività. Così accade per l’istanza di autoanalisi, particolarmente avvertibile in Dialogo con se stesso, in cui l’autore appare pienamente consapevole dei propri contrasti interiori e della difficoltà di esprimere adeguatamente i sentimenti che –con ardita e convincente metafora- gli «guazzano in corpo». Un àmbito particolarmente caro a Barillaro è poi quello delle relazioni interpersonali (amorose, amicali, familiari), che egli sviluppa con tratti di profonda e già matura sensibilità in linea con una sincera ed evidente apertura verso l’altro. Il sentimento amoroso è colto nella sua variegata complessità e nei suoi tratti di ambiguità tra illusione e delusione, che però non impediscono al giovane autore di dichiarare la propria volontà di amare in ogni caso, dovesse pure il suo cuore «sventolare nell’amarezza,/ scoppiare d’illusione.» (Il mio amore). L’apertura verso l’altro si traduce altresì nella dedizione ai rapporti amicali che ispira numerose composizioni: tra le altre, Ad un amico grande delinea una figura amicale che risulta tanto più affidabile e sicura quanto più non teme di manifestare «l’occulto rossore» dei suoi «sentimenti caldi». Altrove si parla con sorprendente icasticità della «brutalità del sentimento amico», capace di dimenticare gelosie e ambizioni e di tradursi nella più totale sincerità e nella possibilità di «ricordarsi amici». (Ricordarsi amici). Non stupisce allora che proprio ad un amico il giovane poeta chiede aiuto per vincere la scontentezza derivante da una realtà insoddisfacente e per vivere nel regno dei sogni: l’amico diventa così una sorta di alter ego pur nell’ovvia differenziazione delle identità. (Ho fatto un sogno, amico).
Il Nostro intende inoltre compartire il proprio ricco patrimonio di affettività dedicando intense composizioni ai familiari ed esplicitando in calce il nome del destinatario. I genitori, il fratello, i nonni e gli zii ricevono così versi in cui l’affetto trova le parole giuste per esprimere comunità di intenti e condivisione di valori fondanti, a testimonianza del possesso di un patrimonio di affettività intensamente sentita e vissuta. La stessa che lo induce a ricordare al fratello che per loro due « sarà sempre festa, sarà sempre estate,/sarà sempre voglia di stare insieme» (Sempre così). Un patrimonio che dai nonni passa ai nipoti per il tramite dei loro genitori, garantendo la continuità non solo della vita, ma anche dei ricordi, degli esempi, dei valori; e che sembra altresì nutrirsi di un forte senso della natura espresso nella delineazione di paesaggi quasi sempre resa con intenti più evocativi che descrittivi. Essi si caricano infatti di connotazioni memoriali e /o simboliche, soprattutto quando riguardano la campagna (che richiama anche l’infanzia) e il mare che il Nostro avverte sempre con sé :« Lascia lontano ogni orizzonte,/ per abbracciarmi ogni mattina» (Mare).
Questo discorso poetico è variegato anche negli aspetti formali. Colpisce in un poeta così giovane l’indubbia padronanza della strumentazione metrica, dispiegata ora in versi liberi di misura diseguale, ora nell’adozione dei metri regolari, ora nella scelta di un andamento quasi prosastico, tutti indizi di una ovvia istanza di sperimentalismo inteso alla progressiva a acquisizione di una cifra stilistica personale e riconoscibile. Alcune composizioni risultano brevi e in sé concluse, altre sono raggruppate in sequenze poetiche più ampie, come Cantico alla vita e Le quattro stagioni, dove paiono avvertibili echi di lontana ascendenza leopardiana mediati da Cardarelli. Altrettanto sicuro appare l’utilizzo di figure quali l’anafora, l’enjambement, la metafora, l’analogia.
A me pare che Barillaro si mostri pienamente avvertito della necessità di coniugare con spirito contemporaneo l’ingenium e l’ars di oraziana memoria per esprimere una Weltanschauung impregnata di serietà e di senso di responsabilità che talvolta motiva il richiamo-anche ironico- ad una sofferta ma indispensabile autenticità. Forse potremmo dire che, come quella di Marziale e fatte salve le ovvie differenze, anche la poesia di Barillaro sapit hominem: e avendo sapore di uomo persegue la verità e l’autenticità contro ogni mistificazione e infingimento. Per questo, anche se certamente non solo per questo, ci tocca e ci coinvolge profondamente.