L’Arcidiocesi di Reggio Calabria è stata coinvolta nell’emergenza del terremoto in tutta l’estensione del suo territorio. Le conseguenze negative hanno avuto ripercussioni sul clero, i religiosi, le associazioni di Azione Cattolica, i luoghi di culto, le istituzioni di formazione, gli enti e le opere di beneficenza, i beni mobili e immobili finalizzati a sostenere le iniziative culturali, l’azione apostolica, l’impegno di testimonianza e di carità. Anche la chiesa locale, come l’intera società reggina, si è ritrovata all’improvviso, in quell’alba tragica del 28 dicembre 1908, priva dei suoi luoghi di culto, del seminario, delle sedi delle confraternite, circoli e società in cui operavano clero e laicato militante; depauperata di orfanatrofio, scuole ed opere molteplici in cui prendeva corpo l’animazione socio-economica della società tramite le diversificate, anche se fragili, ramificazioni del movimento cattolico; ridotta al silenzio sul fronte dell’unico strumento culturale rappresentato dal settimanale “Fede e Civiltà“ che, oltre a stabilire un momento di compattamente del mondo cattolico, realizzava un dialettico confronto con la realtà socio-culturale cittadina, attraversata da notevoli fermenti ideologici e politici, non tutti riconducibili all’idea cristiana.
È opportuno sottolineare, inoltre, l’assenza del responsabile della diocesi, nella personalità carismatica del card. Gennaro Portanova, deceduto alla fine di aprile di quell’anno1. Per lunghi mesi la chiesa Regina è rimasta come paralizzata, impotente a sviluppare qualsiasi iniziativa. La ripresa delle attività di culto e di assistenza si è avuta con lentezza e dopo un certo periodo, sotto l’influsso di agenti esterni, piuttosto pochi in verità, che inviati o sollecitati dal papa Pio X, hanno lentamente risvegliato le energie fiaccate e rimesso in movimento la dinamica pastorale, con l’apporto di sussidi finanziari che hanno contribuito a mettere in piedi strutture provvisorie, ma sufficienti per riavviare la vita delle comunità2. Il clero, in prima linea, era uscito decimato dal disastro. Rimasero sotto le materie trenta sacerdoti e due chierici, tra cui il provicario e decano del capitolo, can. Cristoforo Maria Assumma, il penitenziere, il prevosto del duomo e mons. Rocco Cotroneo, storico insigne e direttore della “Rivista Storica Calabrese “, assieme a molti parroci. Altri morirono nei mesi successivi in seguito alle ferite riportate, o si dispersero per tutta l’Italia in cerca di soccorso, insieme ai 160 chierici del seminario arcivescovile, molti dei quali furono accolti nei seminari di Roma, Napoli, Anagni, Massa Carrara e di altre città, per completare gli studi teologici e la preparazione al sacerdozio3.
L’analisi dei vuoti apertisi nelle file dei quadri dirigenti della chiesa reggina si deve estendere ai religiosi, alle religiose ed ai responsabili delle associazioni cattoliche, per rendersi conto dello stato di inerzia in cui essa è precipitata. Così come vanno analizzate le condizioni di prostrazione fisica e psichica, la lotta per la sopravvivenza, l’esposizione alle intemperie ed ai disagi, prima all’aperto e poi in tende e baracche, a cui la popolazione si dovette sobbarcare e che riportarono la vita della gente ad una condizione quasi primitiva dell’esistenza, che non favoriva certo l’impegno ed il prodigarsi per gli altri, come le condizioni di emergenza avrebbero richiesto. Perciò l’abbattimento e il disfattismo rischiavano di insinuarsi anche all’interno della chiesa e fra le guide pastorali, innescando un meccanismo opposto alla ripresa. La drammaticità dell’evento viene ricordata ancora, a distanza di molti mesi, dal can. Salvatore De Lorenzo che scrive due punti “in uno dei tristi giorni del gennaio, quando tuttora annientati dall’immanità della sventura, ci giravamo raminghi per le macerie, chiedenti e distribuenti qualche soccorso agli affamati e nudi nostri concittadini“. Una descrizione realista, a dir poco, che si completa con quella riservata al clero, presentato “oppresso e piangente, intonse le chiome e la barba, ricoperto da abiti non suoi“4. La condizione allucinante della massa famelica e svanita è quella che maggiormente colpisce la fantasia di quanti riuscivano a riflettere e pensare agli altri. Così il parroco di S. Giorgio de Gulpheriis, Rocco M. Zagari, annotava nei libri parrocchiali del 1909: “superstiti errarunt fatui et nudi per vias et plates pluribus diebus, perferentes famen et omnes angustias”. Il che era tristemente vero anche per lui, che si potrebbe pensare disponesse di più favorevole accoglienza presso i preposti ai soccorsi. ”Ego, cum veteribus soro-ribus, sub tentorio, more animalium, elanguescere debui in platea vulgo Piazza d’Italia per duos menses; sed postea, die secunda fe-bruarii 1909 habui receptum in domuscula lignea apud viam Reggio Campi… ubi milites genii… construxerunt mihi parvum sacel-lum et potui tandem offerre sacrum sacrificium, quod desideravi a die immanis flagelli”5.
Quando il parroco Zagari scriveva queste parole era evidentemente ancora sotto shock. Da esse si ricava tutto il disagio di persone che non erano in grado assolutamente di svolgere la loro specifica missione, e non soltanto per mancanza di ambienti adatti. Un grido di denunzia molto più angosciante troviamo sul giornale diocesano per lo stato di abbandono dei paesi della provincia. “La vita in baracche è quasi insopportabile… ciò che si avvera in città, si nota maggiormente nei paesi, specie in quelli che per
la mancanza di viabilità e per la negligenza delle autorità rimasero completamente abbandonate“6 . I parroci fanno quello che possono, Ma la loro opera non basta. A Cerasi troviamo una di queste situazioni limite emblematiche, in cui il sacerdote si fa portavoce e riferimento di quanti, con la casa ed i beni, hanno perso anche la fiducia nelle pubbliche autorità. “Qui non è arrivata anima viva fra tanti comitati che a larghe mani profusero il bene altrove… solo una persona si è vista lenire i dolori ai poveri disgraziati e asciugare le lagrime del confronto di padre, di fratello, di amico carissimo, e fu il giovane parroco don Carmelo Cormaci. Fu lui che organizzo subito il lavoro di salvataggio che impedì disordini nella distribuzione di viveri elargiti dai soldati e ottenne sussidi dal rev. mo vicario capitolare e indumenti dal comitato inglese residente in Catona. Fu a sue spese che sorse la baracca-chiesa dove si sono svolte le funzioni della settimana santa“7 . Questa azione di soccorso materiale solo occasionalmente viene ricordata nei testi posteriori. Rifacendo la storia della presenza a Reggio di padri Francescani di Sbarre, un breve inciso Annota: “I frati, per più giorni ripararono all’aperto e furono larghi in distribuzione, a quanti a loro accorrevano, sia i cibi di cui potevano disporre, come le loro stesse suppellettili; anzi alcuni chierici e qualche padre si recarono in altro convento e portarono quello che hanno potuto avere e lo distribuirono parimenti ai bisognosi“8.
Nell’agosto del 1909 un articolo di colore su “Reggio nuova“ ricorda come nel gennaio dello stesso anno un gruppo di ragazze dell’Istituto S. Gaetano, guidato da sr. Crocifissa Cosacchia, “la suora forte e pia che non perdette mai la fede nell’avvenire, mentre si succedevano nuove scosse e nuovi crolli, e le piogge ininterrotte allagavano quel che rimaneva dell’Istituto“, modulava un canto religioso. E l’anonimo corsivista commenta: “quel viva cadenzato in mezzo al furore della terra e del ciclo, diretto al moderatore degli elementi, al datore delle gioie e del dolore, era anch’esso espressione di fortezza e di fede. Era il grido confortante della risurrezione”1, simbolo di incrollabili speranze e certezze9. È questo sostegno morale il contributo più significativo che la chiesa reggina ha dato alla ricostruzione materiale e dalla risurrezione spirituale della città, con le risorse interiori della fede, della preghiera, dei sacramenti e con la ripresa della vita religiosa, dopo il comprensibile sbandamento dei primi mesi succeduti al flagello. A tre mesi dalla tragedia, per volere di Pio X, viene fondato il settimanale diocesano che prende il posto di “Fede e Civiltà”, travolta insieme alla tipografia Morello che la stampa va.
Significativamente il giornale prende il nome “Reggio Nuova”, perché intende accompagnare il cammino della rinascita, concorrendo “con migliori tecniche, freschezza di materiale e innovazione di veste” ad una più larga diffusione10 . Formulando propositi e programma l’editoriale lancia Il grido di incoraggiamento e di speranza, ricordando che perché Reggio risorga dalle sue rovine “è necessaria l’opera cosciente, concorde, indefessa dei reggini superstiti dall’orrendo disastro“. Il giornale si impegna a battersi “pel risorgimento materiale, economico e morale della nostra città“, indicando gli obiettivi che persegue:
* stimolare le autorità locali e governative perché compiono il loro dovere e realizzino le promesse;
* risvegliare le energie economico- sociali perché con la collaborazione e la solidarietà esterne, riferiscano il commercio, le industrie e le altre attività produttive;
* favorire la formazione giovanile e l’organizzazione delle forze operaie “.11
A questi impegni il giornale rimasto fedele negli anni di sua vita, svolgendo una vera e propria battaglia culturale e civile perché il governo non trascurasse le promesse fatte nei primi giorni per il piano regolatore, per sollecitare l’azione concorde dei responsabili cui era affidato il compito prima di sgombrare le macerie e poi di impostare la ricostruzione, col nuovo volto architettonico ed urbanistico dell’ambiente12 .
La prima chiesa-baracca aperta al culto è sorta sulla via del porto, per iniziativa dell’equipaggio della Corazzata “Napoli“, entrata in azione il 29 dicembre, solo un giorno dopo il terremoto. Dopo alcuni mesi, ma sempre prima dell’installazione delle baracche-alloggio, giunsero quelle inviate dal Papa, mediante l’azione incisiva è pronta di mons. Emilio M. Cottafavi e del Conte Roberto Zileri Alvernes. Qui mi preme evidenziare che l’opera di sacerdoti esterni è stata limitata, non essendo possibile parlare di volontariato, conforme allo stile che abbiamo conosciuto in occasioni consimili vicini ai nostri giorni. Nel marzo 1909 la situazione è enormemente migliorata. “Nei giorni festivi è uno spettacolo che edifica e commuove il vedere i fedeli affollati nella improvvisata baracca-chiesa pregare Iddio e ascoltare la santa messa; le chiese-baracche sono anguste, ma i fedeli trovano posto all’interno e ivi, poco curando il rigore della stagione, si stanno a pregare”13.
Nello stesso numero del giornale si sostiene che “al risorgimento di Reggio deve cooperare la già così bene organizzata Azione Cattolica“. Un invito ad aiutare l’Azione Cattolica a risorgere, dopo lo sfascio seguito alla morte di tanti dirigenti e soci e la perdita delle sedi, Viene dall’avv. Vincenzo Mangano, della vicina a Messina, con un articolo che “Reggio Nuova“ riprende da “Settimana Sociale “ del 27.03. 1909. “Spetta ai cattolici italiani – afferma il mangano – provvedere a quella Azione Cattolica che qui ha perduto i suoi elementi migliori, i suoi uomini più adatti ed efficaci… È necessario guardare all’avvenire morale di quelle contrade. “Si sottolinea che circoli, associazioni, biblioteche, conferenze, proiezioni prima esistevano numerose e fiorenti, adesso bisogna ricominciare da capo“14. E a questo punto che il Cottafavi comincia a pensare al padiglione delle associazioni cattoliche per la città di Reggio, che sorge al Fondo Larussa; al padiglione della Società Operaia a Bagnara calabra, Dove vive ed opera il dr. Antonino Arena;, ad una stanza più ampia, annessa alle case canoniche, destinata alle adunanze delle associazioni cattoliche e dalle scuole serali. Per trovare accenni alle prime riunioni a Reggio, bisogna attendere la fine di maggio. La prima, promossa dal circolo giovanile “S. Paolo“, si tiene nella casa del presidente; vengono commemorati i 12 soci deceduti durante il terremoto, assieme all’ assistente ecclesiastico, e nominata una commissione perché cerchi una sede, ritenuta indispensabile per le attività del circolo15. Perfino l’associazione caritativa “San Vincenzo“ aveva sospeso le proprie attività e solo il 5 giugno, incoraggiata dal vicario capitolare mons. Dattola, si decide a riprendere, ricostruendo gli organi direttivi, discutendo come accrescere il numero dei soci e ottenere contributi per allargare la sfera di azione. Oltre a numerosi soci, la “San Vincenzo“ aveva perso il presidente, ing. Filippo Aliquò Luciani, il cassiere e l’assistente ecclesiastico16. Le prime opere sociali riaperte dopo il terremoto saranno a Reggio, la banca cattolica, la società sportiva “Fortitudo“, l’istituto “la Provvidenza – S. Gaetano“ con 70 fanciulle di cui 40 a completa spesa del Papa, per l’educandato delle Suore di Carità con sei padiglioni e due sedi in località “ Rosariello “ e “ S. Lucia “, le scuole delle Cappuccinelle alle Sbarre, l’istituto “ S. Marco “ delle figlie di Maria Immacolata di Maria Brigida Postorino con scuole e asilo. Ma anche fuori Reggio la chiesa reggina sostenuta dai generosi contributi pontifici, dà vita a scuole, asili, ricreatori ed orfanotrofi, affidati in gran parte alle congregazioni religiose femminili presenti in quasi tutte le parrocchie della diocesi, prima fra tutte le Immacolatine. Le località più ricorrenti sono Bagnara, dove sorge un collegio-convitto per fanciulle, Catena, Villa S. Giovanni, Melito Porto Salvo, Gallina, Cataforio, Fiumara. Parlando dell’associazione di Arti e Mestieri di Bagnara, si mette in evidenza che essa è destinata agli operai “per educarli è istruirli secondo le direzioni pontificie, per renderli coscienti e prepararli alla lotta, pronti alla chiamata, a scendere sul campo di battaglia e combattere impavidi i nemici di Dio e della patria, il socialismo e la massoneria“. L’associazione dovrà essere estesa anche alle donne, che a Bagnara sono lavoratrici quanto gli uomini, ed hanno quindi gli stessi diritti, specialmente in tema di assicurazioni sociali17. A Villa S. Giovanni si pensa di impiantare una scuola di lavoro per le figlie del popolo. Vengono individuati i locali adiacenti alla cappella del Rosario, che si decide di affidare all’abile direzione delle Suore di Carità. Mons. Cottafavi commissiona “per una non lieve spesa“ le baracche necessarie18. La chiesa deve assolvere principalmente il compito di formazione delle coscienze, sostanziata di valori morali e religiosi che facevano leva sulle energie spirituali, che si esprimono poi in iniziative culturali, economiche, sociali e politiche. A questa azione rivolgiamo per un momento l’attenzione, convinti che essa rimane la missione specifica della chiesa e che essa non può essere trascurata senza venir meno alla sua primaria responsabilità.
Solo in data 2 aprile 1909 il vicario capitolare, mons. Paolo Dattola, invia ai parroci una lunga circolare, che rappresenta il primo documento pubblico della Chiesa reggina dopo il terremoto. Essa merita attenzione anche per il tono depresso che la pervade. parla dei sopravvissuti come “graziati superstiti dell’immane disastro“, di “sgomento dei giorni passati“ che ha sgominato la vita civile e religiosa di questa “vedova sconsolata diocesi“, che ha bisogno della misericordia di Dio. Aleggia un senso di sconforto e di depressione che non incoraggiano certo la ripresa. Si rileva, a proposito della distruzione delle chiese, che “le aspirazioni e i voti dei nostri maggiori, le care memorie e le glorie avute sono tutte dileguate“. Ci si richiama al “lugubre lamento“ di Geremia e dalla esperienza degli ebrei, di cui parla il salmo 136, dove gli esuli “super flumina babylonis“ rimpiangeva nostalgicamente i tempi della prosperità. Tuttavia, il Dattola incoraggia i preti a riprendere le celebrazioni religiose come possono, per “riattivare la vita cristiana“, perché la gente non cada “nella apatia o nel indifferentismo religioso“. Invita, perciò, a svolgere le funzioni della Pasqua imminente nelle baracche, là dove sono state costruite cappelle
decorose, o a servirsi delle parrocchie vicine per l’acqua battesimale. Proibisce però di tenere le celebrazioni liturgiche all’aperto, eccetto la messa del Giovedì santo per la comunione pasquale. All’aperto si potranno invece, tenere incontri per eccitare i fedeli a penitenza, per la spiegazione del vangelo ed il catechismo ai bambini, per la recita del rosario durante il mese di maggio. A questo proposito annunzia che, appena sarà eretta la baracca della cattedrale, verrà portato in città il quadro della Madonna della Consolazione “per averla più vicino, vigile custode protettrice di questa città“.
Dopo avere invitato i fedeli a pregare perché la diocesi abbia presto il suo pastore , il vicario così conclude: E bene che anche la vita ecclesistica torni a fiorire nel vigore e nello splendore di prima“, sicuri che “quel Dio che affanna e che consola, farà tornare anche per noi giorni migliori“19. L’affermazione che la fede aiuta a risorgere ritorna frequentemente nei servizi di “Reggio nuova“: indicazione per i parroci circa i contenuti dei loro interventi pastorali. Una corrispondenza Arasì ribadisce: “un popolo che ha nel suo cuore sì vivo il sentimento religioso è destinato a risorgere dalla sventura più forte di prima“20. In un articolo-verità dal titolo sbrigativo Non perdiamo tempo si ammette che “anche l’edificio della fede e della religione subì una forte scossa“ dal terremoto. Si fa riferimento a “massoni, protestanti e socialisti“ e con promesse e denaro vogliono “strappare dai cuori la fede, l’unica ricchezza che ci è rimasta e l’unico conforto dopo l’immane sventura“. L’autore, che si firma con pseudonimo Teo-filo, prosegue con una generica denunzia constatando, tuttavia, l’aspetto inedito manifestato dal triste evento. “il tremuoto – rileva – ha fatto uscire dalle nostre file i cristiani dalla fede piccola, dubbiosa, tentennante, i cristiani che non hanno avuto mai un concetto largo di Dio o dalla sua provvidenza e che non erano che dei poveri mestieranti di fede, degli opportunisti sfruttatori del nome di cattolici“. Per concludere in modo significativo: “Che vale e quanto dura la risurrezione materiale se non pensiamo nel tempo stesso a risorgere moralmente, se ritornando la ricchezza e la prosperità se ne va invece la fede?“21. Il problema è di teologia della storia, le osservazioni, non nuove in simili circostanze, danno ragione non tanto a coloro che si sentivano aggrediti, quanto alla debolezza della fede di molti cristiani solo di nome. In definitiva, questi rilievi denotano carenza di un’azione pastorale che non aveva certo formato coscienze illuminate e forti, capaci di resistere alle tentazioni conseguenti all’aggressività delle calamita naturali, nel momento in cui
queste fanno sentire i colpi dell’avversità. Tale problematica non doveva essere ininfluente se un teologo del valore dell’arcivescovo di Rossano, mons. Grazio Mazzella, sentì il bisogno di scrivere un opuscolo apologetico di 100 pagine per fornire argomenti con cui rispondere alle obiezioni di quanti si lasciavano vincere dal pessimismo, dal fatalismo e dal laicismo. Raccomandando l’operetta ai lettori, “Reggio Nuova“ scrive: “con questo volumetto noi diremo una parola di fede nella Provvidenza, di speranza nell’efficacia della preghiera, di elogio della vera carità“22. A questo genere di letteratura sul terremoto il giornale diocesano si dimostra attento, riservando spazio ad un’altra opera del dott. Antonino Arena, scritta per rispondere alle accuse di quanti, venuti per recare soccorsi, erano rimasti sorpresi dall’inerzia riscontrata nei calabresi, qualificandoli come “infingardi, apatici, cinici, vili“. A giustificazione del comportamento dei terremotati, l’Arena descrive “gli effetti del terremoto per quanto riguarda soprattutto la modificazione del sistema nervoso dei colpiti dall’immane cataclisma del 28 dicembre“23. Un’altra testimonianza in campo -culturale dei frutti del terremoto è la sinfonia descrittiva del sisma composto dal M° della Cappella del duomo, Gaetano Coppolino, così commentata dal critico P. Ibach da Nistiel: “un’opera che, pur non essendo un poderoso impasto orchestrale, è sincera manifestazione di concetti fortemente sentiti, ricchi di vita e luce, sullo sfondo oscuro di un profondo dolore”. Sul sostegno da offrire alla rinascita morale della diocesi è sempre più impegnata l’azione pastorale della chiesa reggina con i suoi sacerdoti e lo stesso settimanale diocesano. Intervenendo con un articolo dal titolo Per la fede e la morale il giornale osserva: “ricordiamo che la prosperità di un popolo, di una città, non si ottiene semplicemente con lo sviluppo materiale, ma più di tutto col progresso morale, che non può andare disgiunto dalla religione che lo informa e lo vivifica”24. L’occasione privilegiata per richiamare i reggini sconvolti nella fede dal terremoto è l’inaugurazione delle chiese-baracca. Eccone un esempio a metà giugno del 1909, all’apertura di quella di S. Maria del Soccorso: ”di fronte al cresciuto, dopo la catastrofe, lacrimevole indifferentismo religioso di gran parte del nostro popolo di ogni classe, è consolante il vedere come molti spaventati entrati in se stessi ravvivare la loro fede e cercare, nell’avvicinarsi o tornare a dio, confronto è sollievo alle patite sciagure”25. Approssimandosi con l’estate il periodo delle feste, una notificazione del vicario capitolare, in data 4. 6. 1909, sospende, in tutta la diocesi e per l’intero anno, le manifestazioni esterne. “non è regolare in
questo tempo di lutto e di dolore per questa infelice religione – notava dalla circolare – solennizzare le feste ecclesiastica e con musiche, spari di mortaretti, fuochi artificiali o altri segni di letizia. Più che le solennità esteriori vogliamo sia promosso il raccoglimento interiore, la compunzione del cuore e la conversione perfetta a Dio, evitando assolutamente quanto concorre a distrarre o ad arrecare danno alle anime”26. Ottemperando a quanto disposto, a Bagnara, per la festa del Carmine la statua non viene rivestita dagli abiti “sfolgoranti di gemme e di oro, ma con quelli votivi con cui ogni giorno, dal suo trono di misericordia, accoglie i gemiti, le lagrime e i sospiri dei suoi figli”. Durante il discorso commemorativo, suffragate le vittime, “furono sfatate tutte le ereticali bestemmie contro la provvidenza. Una parola di speranza è di fede viene pronunziata per i superstiti che non debbono abbandonarsi nell’accoramento, ma risorgere più forti e più energici a ristorare moralmente e materialmente le nostre città distrutte”27. Un importante articolo sulla ripresa morale, religiosa e civile della vita cristiana a Reggio viene pubblicato su “ Reggio Nuova“ a distanza di quasi due anni dal terremoto. Un tale G. Giunta svolge una serie di riflessioni sulla crisi e lo smarrimento succeduto all’abbattimento religioso, conseguente a quello psicologico, seguito all’avvento. “trovarsi negli stesso tempo senza l’aiuto e la gioia dei propri cari, per colmo di sventura, senza la casa, esposti a tutte le inclemenze della natura e alle astute violenze dei propri simili, è tale sbalorditiva sciagura che, se rarissimamente può aversi l’eguale in questo mondo, è per questo stesso tale da far perdere addirittura la mente ai più assennati e calmi temperamenti di uomini di carattere”. A questa analisi psico-sociologica – in cui l’autore sembra attingere abbondantemente alla personale esperienza di quei giorni – segue l’affermazione centrale sulla perdita della fede e della pratica della vita cristiana da parte di molti. “fu per questa ragione, io credo, che alcuni nelle nostre contrade, provati così duramente dal terremoto, assunsero, dopo di esso ed in conseguenza di esso, quel contegno ostile, non solo contro la religione, ma contro Iddio stesso, a cui fu inteso, con orrore, rimproverare blasfemamente la crudeltà e la insipienza. Inebetiti del tutto, per la grave sventura mai per lo innanzi provata, non seppero quel che dissero, e, affogati nel loro intenso dolore, vaneggiarono bestemmiando contro Iddio”. Questa forte denunzia è subito attenuata con la considerazione che tale “squilibrio” è stato causato dalla “mancanza in molti, di quel vero cristianesimo profondo è vero, che abita in ogni evento il dito ( la volontà di Dio e dà la forza e il coraggio a piegare il capo orgoglioso innanzi a lui ed accettare, con la calma propria dei figli di Dio, qualunque avversità. Le tribolazioni sono la prova della religiosità”. Per proseguire con un giudizio tagliente di grande efficacia: “la vera vita cristiana e vissuta da molto pochi delle nostre contrade, perché anche quelli che frequentano molto la chiesa, non hanno ben compreso, e quindi poco praticato il cardine della vita cristiana… il sublime mistero della volontà di Dio”. Ed ora, a giudizio dell’articolista-filosofo, ecco giunta “l’ora della verità“. “Per opera di alcuni volenterosi del clero e del laicato da una parte, e dall’altra per l’impulso dato alla Unione Popolare ed alle Istituzioni Cattoliche, si nota un risveglio che apporterà ottimi frutti. Le nostre popolazioni cominciano ad essere più tranquille, e quindi più riflessive e religiose “.”Svegliamoci”! E il grido che ripete tre volte. Perché “l’ora della crisi sta per terminare “; per “opporre un argine alla miscredenza “, per “riparare i danni apportati alla fede“. E conclude incisivamente: “il risveglio cattolico deve mirare primieramente a ricostruire, sulle vere solide basi, la vita cristiana e religiosa, la vita vera e non quella fatta di entusiasmo, la vita che viene dalle pure fonti dei sacramenti. Dalla frequenza ai sacramenti si avrà la scintilla di quella fiamma cristiana che diventerà gigante nella vita sociale “28. A conclusione, ecco in sintesi alcune riflessioni. Ho toccato soltanto i punti nodali dell’azione pastorale della chiesa reggina intesa a dare fiducia ed energia morale alla gente, aiutarla a risollevarsi ed operare anche ai fini della ricostruzione materiale e sociale. Questa lucida presa di coscienza avviene lentamente ed in modo efficace dopo quasi due anni, anche perché molti sacerdoti erano rimasti vittime del sisma e quelli sopravvissuti moralmente fiaccati. Da fuori diocesi sono giunti elementi dotati di forte personalità come Don Luigi Orione, mons. Emilio Cottafavi, Don Paolo Albera, Don Felice Cribellati, p. Antonino Luddì e qualche altro che, oltre a dedicarsi alla ricostruzione materiale delle chiese e delle sedi delle opere cattoliche, avevano una grande carica spirituale ed erano testimoni di impegno sociale attraverso le associazioni del movimento cattolico. Nel dicembre del 1909 era giunto in diocesi il nuovo arcivescovo nella persona di mons. Rinaldo Camillo Rousset, che diede un forte impulso alla spiritualità eucaristica e dalla formazione permanente del clero, con incontri di preghiera e di studio dislocati sul territorio e con un solido magistero episcopale. Finalmente, nel ottobre del 1912 viene riaperto anche il seminario arcivescovile, il primo edificio stabile ricostruito sul progetto del ing. Pietro De Nava. Sono richiamati chierici dispersi per le
città italiane e prende a svilupparsi un attività pastorale più regolare, guidata dall’occhio vigile dell’arcivescovo che si muove per le parrocchie e stimola lo zelo del clero, dei religiosi e del laicato.
Mons. Antonino Denisi (Rivista Storica Calabrese, 1994 num. 1 e 2)